“Fu una battaglia tremenda. La più terribile di tutte le esperienze di Bilbo, e quella che egli odiò di più quando la visse – vale a dire quella di cui fu più fiero, e che più amò poi ricordare.”
Tratto da: Lo Hobbit o la riconquista del tesoro – J .R .R. Tolkien
“Il segreto del bosco vecchio” di Dino Buzzati è un libro che si può leggere (o rileggere con occhi nuovi, per chi lo avesse letto ai tempi della scuola) con l’idea di ritagliarsi un piccolo spazio per rivolgersi alla propria interiorità.
E per esercitarsi a non correre subito a giudicare ogni gesto.
Il mio vuole essere un invito, una condivisione di ciò che io, indossando le lenti da psicologa, ho visto e sentito leggendo questo libro. Mi piacerebbe che da queste riflessioni nascesse un confronto, un dibattito con altri curiosi lettori…
Nel fare le ricerche per ispirarmi al nome del blog, ho scoperto che il titolo originale del famoso libro “To kill a mockingbird” (in italiano “Il buio oltre la siepe“) di Harper Lee, tradotto letteralmente sarebbe “Uccidere un mimo poliglotta”.
Un romanzo che mi ha accompagnata in passato, la cui lettura è ancora attuale. La vicenda scorre in maniera limpida, ma il significante sottostante gli eventi tocca il lettore e stimola la riflessione interiore. é scorrevole, immediato, semplice, narrato in prima persona da una bambina.
Eppure è evocativo e potente: quanto fa paura ciò che non si conosce?
Quando non si è consapevoli di questa paura e tantomeno allenati a toccarla, guardarla, affrontarla…fin dove porta?
Quanto il pregiudizio è legato alla paura per lo sconosciuto?
Mi chiedo anche: cosa impedisce di toccare la paura e lo sconosciuto?
Come scrive Harper Lee “quasi tutte le persone sono simpatiche quando si riescono a capire.”
Può accadere di sperimentare quella sensazione di “aver perso ogni speranza”, soprattutto in questo periodo storico di pandemia mondiale. Come dice Eugenio Borgna nella copertina del suo libro “Speranza e disperazione” la speranza è la passione del possibile, è la ricerca del senso della vita.
Cosa succede allora quando sentiamo di aver perso la speranza?
Questa sensazione ci avvolge perché stiamo sperimentando nella nostra esperienza del mondo che non ci sono più “possibilità”. Ma quali possibilità? è davvero l’unico modo in cui possiamo vedere ciò che sta accadendo? E come mai si è arrivati a questo punto di non ritorno?
Queste domande sono semplici spunti per iniziare a riflettere su ciò che stiamo sentendo. Fermarsi a sentire, e poi pensare quello che sentiamo è proprio ciò che può accadere quando si decide di andare dallo psicologo.
Quante volte hai pensato di non farcela, ti sei spaventato, bloccato, sei scappato?
Nella vita i momenti e gli eventi che suscitano reazioni di questo tipo esistono, sia nel contesto ristretto delle relazioni personali che nel contesto sociale e mondiale (come la pandemia che ci ha “sorpresi” quest’anno).
Ti sei mai soffermato a pensare qual’é il tuo modo di reagire di fronte a questi accadimenti?
La ricerca scientifica ci insegna che sono tre le principali risposte immediate che attuiamo davanti al pericolo o a un forte stress: combattiamo, scappiamo oppure ci blocchiamo (fight, flight or freeze). Sono risposte istintive che abbiamo ereditato nel corso dell’evoluzione.
Ma a parte la reazione a caldo, qual’é la tua reazione a freddo? Ad esempio, rispetto alla pandemia, la tua reazione è cambiata nel corso del tempo? E le persone intorno a te come reagiscono?
Fermarsi a riflettere sul modo di reagire agli eventi stressanti può aiutare a conoscersi meglio, e a scegliere di partire da piccoli cambiamenti per stare meglio con sè stessi.