Il fallimento è la vera prova della grandezza

Così comincia, Rossella Bernascone, l’introduzione a “Bartleby lo scrivano” di H. Melville, facendo riferimento alla biografia dell’autore, letteralmente una collezione di insuccessi: il fallimento è la vera prova della grandezza.

Fallimento è una parola che, nella società contemporanea occidentale, contiene in sé un’accezione negativa, in quanto è l’antitesi del raggiungimento degli obiettivi che ogni individuo “socialmente sano” si pone (posto fisso, figli, guadagno) e denota una mancanza nel suo funzionamento. Si può affermare senza alcun dubbio che viviamo in una società del successo.

In molte situazioni lavorative, ad esempio, ci si ritrova quotidianamente alle prese con l’insuccesso, il fallimento e le risonanze emotive legate ad esso. Ogni individuo nel corso della propria esistenza, più o meno variamente connotata, si trova più volte faccia faccia con il fallimento.

Il contributo dell’etnopsicoanalisi è utile nel rendere esplicite le premesse sulle quali si fonda il pensiero di una determinata cultura. Da un punto di vista clinico, tale approccio permette di intervenire sulle credenze che agiscono catalizzando il malessere e la patologia. Nella clinica, è possibile quindi affrontare il sintomo anche ponendosi in contrasto rispetto ai propri riferimenti culturali o familiari (“miti”), così come Bartleby lo scrivano sfida “cortesemente” il datore di lavoro a suon di “I would prefere not to”.


Quanto le credenze della cultura occidentale influenzano il modo in cui viviamo l’esperienza del fallimento? Secondo Tobie Nathan, etnopsicoanalista francese, tra le funzioni della lingua, quale oggetto culturale e quindi culturalmente determinato, c’è proprio quella di fabbricare gli individui (in Losi, 2010). Di conseguenza le credenze, che danno forma al nostro pensiero e visione del mondo, sono le fondamenta del vissuto del fallimento.

E’ possibile quindi allenarsi a vivere in maniera più ricca e complessa il proprio fallimento, mettendo in discussione le credenze e i miti culturali . “Hagakure”, che significa all’ombra delle foglie, è il titolo suggestivo di un piccolo trattato sull’antica saggezza dei samurai:

“Un giorno il capo di una compagnia si trovò a percorrere una strada di montagna insieme a dieci dei suoi attori. In prossimità di un precipizio la truppa rallentò, procedendo con molta cautela, ma ecco che il capo compagnia messo un piede in fallo, precipitò giù per il burrone. Gli altri si bloccarono agghiacciati: “Oh, Santo Cielo!”. In quel momento si udì una voce provenire dal vuoto: “Non preoccupatevi! Sto bene! Anzi a dir la verità ora sono proprio a mio agio! Tanta era la preoccupazione di poter cadere, che non riuscivo a trovar pace; invece ora l’ansia è passata. Fareste bene anche voi a cadere quaggiù il prima possibile!”

Allenarsi a vivere diversamente il fallimento, vuol dire innanzitutto avere la forza e il coraggio di trovare, nella propria quotidianità, il tempo per ascoltarsi e riflettere sul proprio vissuto. Trovare il tempo, in mezzo a tutti i propri impegni e contingenze, è la cosa più difficile dell’allenamento. Eppure è la unica strada per dare voce agli interrogativi fondamentali della nostra esistenza e darsi la possibilità di stare meglio.

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